Arrival – La recensione


2016 - 2019, Recensioni / mercoledì, Gennaio 18th, 2017

Dopo esser stato acclamato alla Mostra del Cinema di Venezia, l’American Film Institute l’ha inserito tra i dieci migliori film del 2016. In effetti, Arrival non delude le aspettative. Quello che può sembrare (almeno fino a metà del film) il solito sci-fi sugli alieni, si rivela essere, al contrario, molto più profondo. L’innovazione di Arrival sta infatti nell’avere un approccio umanistico, invece che scientifico. Il tema principale, infatti, è la comunicazione.

Dopo l’arrivo di dodici “gusci” (alias le navicelle aliene) in tutto il globo, l’esercito americano ingaggia l’esperta di linguistica Louise Banks per decifrare i messaggi degli eptapodi (il nome dato agli alieni, che hanno sette gambe). Louise viene affiancata da Ian Donnelly, fisico e matematico. I due devono capire qual è il motivo della “discesa” sulla Terra degli alieni.

Mentre alcune potenze (vedi Cina, Russia) gridano all’invasione, Louise e Ian cercano di stabilire una relazione comunicativa pacifica con gli eptapodi. Louise insegna a Tom e Jerry (così vengono soprannominati da Ian i due alieni atterrati nel Montana) la lingua inglese e questi, in risposta, mostrano a lei la loro.

Gli alieni sono solo un pretesto che permettono al regista Denis Villeneuve di parlare del problema che riguarda gli esseri umani, e le nazioni in generale, ovvero quello del dialogo. Piuttosto che allearsi per capire l’arrivo degli alieni, i vari paesi nel film prendono posizioni diverse, chiudendosi in se stessi, con l’intenzione di attaccare militarmente gli extraterrestri. Louise invece, da esperta di linguistica, riconosce alla comunicazione un ruolo fondamentale. Bisogna parlare, condividere le proprie idee, costruire un dialogo, anche e soprattutto con chi proviene da un’altra realtà, che non conosce il modo di relazionarsi degli uomini.

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Come in altri film recenti di fantascienza, l’altro tema principale è il tempo.

Dall’analisi della scrittura degli alieni, Louise e Ian capiscono che essi hanno una diversa concezione del tempo rispetto alla specie umana. Se il loro sistema di scrittura è circolare, così è anche il loro modo di pensare e di percepire il tempo, mentre per noi umani questo è lineare. Infatti, secondo l’ipotesi di Sapir-Whorf che viene esplicitamente citata nel film, ogni comunità linguistica categorizza in maniera diversa la realtà, quindi la lingua che si parla influenza direttamente il pensiero.

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Anche l’amore è un tema trattato in Arrival. Come già in Interstellar, esso ha un ruolo importante nella pellicola. Non voglio approfondire però questo aspetto, lasciandovi il piacere di scoprirlo durante la visione del film.

Veniamo adesso a gli elementi più tecnici.

Ottima la sceneggiatura di Eric Heisserer (generalmente sceneggiatore di film horror), che ha compiuto un lavoro non facile, anche se andrebbe letto il racconto originale (Storia della tua vita di Ted Chiang) per giudicare meglio. Bello anche il montaggio. Menzione speciale per il suono, veramente realistico.

La fotografia di Bradford Young ricorda i film di Terrence Malick nelle scene esterne, e Kubrick in quelle interne.

Ho trovato invece un po’ deludente la colonna sonora di Jóhann Jóhannsson di cui avevo alte aspettative, visto la candidatura al Golden Globe per miglior colonna sonora.

Da un punto di vista interpretativo Amy Adams è la protagonista assoluta, bravissima nel ruolo di Louise. Meno caratterizzante Jeremy Renner nei panni di Ian Donnelly, ma comunque simpatico. Nelle scene girate insieme i due attori dimostrano di avere una bella intesa.

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I gusci mi hanno ricordato il quadro di René Magritte, Il castello dei Pirenei.

Non ritengo invece molto probabile la rappresentazione degli alieni, simili a calamari giganti. Forse questa scelta è stata fatta per far scrivere gli eptapodi con l’inchiostro, che esce dai tentacoli proprio come il nero di seppia dalle piovre.

Arrival si aggiunge al patrimonio dei film di fantascienza, ma con tematiche innovative e diverse. È un film assolutamente da vedere, soprattutto per gli appassionati di linguistica.

Adesso non ci resta che aspettare Blade Runner 2049 per capire se Denis Villeneuve si confermerà il nuovo “maestro” dello sci-fi che sa unire fantascienza, filosofia e cinema d’autore. Le premesse ci sono tutte.

6 Commenti a “Arrival – La recensione”

  1. Concordo su tutto! Le musiche e la rappresentazione degli alieni sono le cose che mi sono piaciute meno… è vero che le astronavi ricordano molto l’opera di Magritte! Ora mi è tornata in mente una cosa che avrei voluto mettere nella mia recensione ma poi mi sono scordata, i diversi riferimenti kubrickiani a “2001: Odissea nello spazio” e ad un certo punto la citazione della famosissima immagine dell’alba. <3

    1. Grazie per il commento! Anche a me è piaciuta la tua recensione 🙂 in effetti potevo aggiungere pure io i riferimenti a 2001 ma non ho trovato somiglianze così palesi, quindi ho preferito lasciar perdere.

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