Deserto Rosso: gli anni Sessanta tra paesaggi industriali e colori


Approfondimenti / sabato, Ottobre 28th, 2017

Negli anni Sessanta il cinema italiano tornò sulle scene internazionali, tenendo conto delle innovazioni del Neorealismo e della Nouvelle Vague, tra cui la macchina da presa come sguardo autonomo e l’ambientazione in luoghi reali. Essendo nel periodo del boom economico, i film degli anni Sessanta trattano soprattutto dell’incertezza del quotidiano, della solitudine degli individui, del consumismo e della falsa ricchezza.
Oltre a Federico Fellini, un altro regista che contribuì al cosiddetto rinascimento cinematografico italiano è sicuramente stato Michelangelo Antonioni. Già regista di film come Cronaca di un amore (1950), Il grido (1957), L’avventura (1960), La notte (1961), e L’eclisse (1962), il suo riconoscimento internazionale avviene però con Deserto rosso, premiato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1964.

In Deserto rosso, Michelangelo Antonioni continua la riflessione sugli effetti dell’industrializzazione sul paesaggio e sulle persone, già affrontata nella trilogia dei sentimenti (L’avventura, La Notte, L’eclissi). Le industrie modificano notevolmente il paesaggio naturale, rendendolo desolato e avvelenato, come suggerisce l’inquadratura del fiume colorato di giallo.

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Il progresso tecnologico schiaccia anche le persone e le fa diventare nevrotiche, proprio come Giuliana, la protagonista del film. Tuttavia il regista si sofferma anche sulla bellezza delle fabbriche, facendo molte inquadrature sulle strutture e sui rifiuti, trasformandole in immagini dal grande fascino visivo. Infatti, nei film di Antonioni, il paesaggio è importante quanto i personaggi, come se fosse un coprotagonista. Tutto questo si può vedere nella prima scena del film, quando Giuliana (Monica Vitti) va a trovare il marito nella sua fabbrica insieme al figlio: Giuliana e il bambino sono come dei puntini nello spazio, e vengono inghiottiti dal deserto industriale.

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Il colore ha, nella vita moderna, un significato e una funzione che non aveva in passato… sono convinto che tra poco il bianco e nero diventerà veramente materiale da museo.

– Michelangelo Antonioni

Nel suo primo film non in bianco e nero, Antonioni dedica molta attenzione ai colori, che sono autonomi dagli oggetti che mettono in risalto. Secondo il regista infatti, nell’era della riproducibilità tecnica non esistono colori fissi per uno oggetto, così un fiume può essere colorato di giallo, un bosco di bianco, la frutta di grigio. In Deserto Rosso, il colore ha due valenze: una sociale, e una personale.

Nella scelta dei colori per la scenografia della fabbrica, Antonioni riprende degli studi sul colore degli anni Quaranta, in particolare quello dell’azienda chimica DuPont. Secondo questo studio, per evitare incidenti, all’interno delle fabbriche devono essere presenti l’arancione, il rosso, il verde, il giallo, il blu, il bianco, e ad ogni colore viene associata una funzione. Infatti, Antonioni li usa tutti all’interno della fabbrica del marito di Giuliana, soprattutto per le tubature.

Anche nei negozi, determinati colori spingono a comprare gli oggetti in vendita meglio di altri. Nella scena nel negozio, Giuliana è infatti indecisa su come colorare le pareti.

DesertoRossoColoriNegozio

Per rappresentare il colore come esperienza soggettiva, Antonioni si basa sugli studi psicologici di Katz. Secondo quest’ultimo, il colore è un rapporto tra l’oggetto e lo stato psicologico dell’osservatore, quindi i colori rappresentano la visione che le persone hanno del mondo. In Deserto Rosso, dunque, i colori assumono un significato simbolico. Infatti, la crisi di Giuliana è sottolineata anche da i colori: Giuliana è spesso circondata da colori freddi, come il viola o il grigio, per esempio nella scena della frutta sul carretto. Anche Corrado (Richard Harris) ha un rapporto con i colori: nella scena del colloquio con gli operai, il suo sguardo vaga dal bianco della parete fino alla linea di colore blu.

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Deserto Rosso si inserisce dunque a pieno nel rinascimento cinematografico italiano, e rappresenta perfettamente la cultura visuale degli anni Sessanta e i mutamenti sociali dell’Italia del boom economico.

 


Bibliografia:

  • L’avventura del cinematografo. Storia di un’arte e di un linguaggio, Sandro Bernardi, Marsilio, 2007.

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