God’s Own Country – La recensione


2016 - 2019, Recensioni / giovedì, Maggio 17th, 2018

La terra di Dio – God’s Own Country è un dramma rurale ruvido e struggente diretto dall’esordiente Francis Lee, premiato al Sundance Film Festival 2017.

John Saxby (Josh O’Connor) è un giovane allevatore gay che porta avanti praticamente da solo la fattoria di famiglia, e vive insieme alla nonna (Gemma Jones) e al padre semiparalizzato da un ictus (Ian Hart) nella campagna dello Yorkshire. John affoga nell’alcool e nel sesso occasionale le sue frustrazioni legate al duro lavoro. L’arrivo di Gheorghe (Alec Secareanu), un migrante rumeno assunto dal padre per la stagione dell’agnellatura, rappresenterà per John una rivoluzione, sia da un punto di vista affettivo che lavorativo.

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La scorsa edizione del Sundance ha visto anche un’altra pellicola LGBT, ovvero Chiamami col tuo nome. Se Elio e Oliver sono in fin dei conti dei privilegiati, perché circondati da persone aperte mentalmente e accoglienti, non possiamo dire lo stesso di John e Gheorghe. Diversamente dall’estate calda e avvolgente descritta in Chiamami col tuo nome, God’s Own Country è ambientato durante la primavera umida e grigia nei pascoli inglesi. Questa terra solitaria da un lato favorisce l’avvicinamento tra i due protagonisti (come già in Brokeback Mountain, citato attraverso un maglione, anziché la “famosa” camicia), dall’altro è loro ostile perché piuttosto conservatrice. In un contesto simile, l’atto di John e Gheorghe è – se volessimo fare un paragone – ancora più coraggioso di quello dei protagonisti del film di Luca Guadagnino.

Rispetto alle altre pellicole del genere, God’s Own Country alza l’asticella, unendo alla tematica LGBT una riflessione sul mondo agreste e inserendo una piccola parentesi sul problema dell’immigrazione. Se fossero persone reali, i familiari di John e gli abitanti della contea sarebbero stati sicuramente tra i sostenitori della Brexit: basta guardare come si atteggiano in alcuni passaggi nei confronti di Gheorghe, lo zingaro – come lo chiama John – che ruba il lavoro agli inglesi. In realtà, Gheorghe fa paura perché rappresenta la nuova generazione di allevatori che crede siano necessarie delle innovazioni per sfidare la concorrenza e per non cadere nel fallimento. Anche John stesso si scontra spesso col padre tradizionalista per la gestione della fattoria ed è riluttante all’idea di riceverne in eredità il carico di lavoro.

Alcune immagini sono dei veri e propri pugni allo stomaco. Alla regia, Francis Lee non nasconde niente, né le scene più crude come quella di un agnellino morto scuoiato in primo piano, né i momenti più dolci condivisi tra John e Gheorghe, che però non scadono mai nel sentimentale ed anzi, a tratti sono anche questi animaleschi, violenti.

La macchina da presa realizza delle inquadrature di ampio respiro sul paesaggio incontaminato dello Yorkshire (la “terra di Dio” del titolo, realisticamente fangosa e ventosa), oppure si stringe sui volti dei protagonisti, sugli animali, sulle parti del corpo e sugli oggetti. La sceneggiatura è asciutta come la regia: dalle bocche dei personaggi escono poche parole, mentre le pecore e le mucche sembrano non avere voce. La colonna sonora è praticamente assente; i suoni che sentiamo sono soprattutto quelli placidi della natura o quelli ripetitivi del lavoro nelle stalle.

Ne è passato di tempo dal tragico epilogo del film di Ang Lee. E per fortuna. Oggi, anche sul grande schermo, le storie d’amore omosessuali meritano un lieto fine, che non sia forzato ma semplicemente realistico, naturale.

God’s Own Country è un film essenziale ma, proprio per la sua semplicità, riesce a trasmettere un messaggio forte e chiaro, e a toccare le corde dello spettatore. Una buonissima opera prima per Francis Lee.


Al cinema dal 24 maggio.

Non perdetelo!