I, Tonya – La recensione


2016 - 2019, Recensioni / giovedì, Marzo 1st, 2018

Dopo The Disaster Artist di James Franco, I, Tonya è un altro film biografico fuori dagli schemi.

I, Tonya racconta uno dei più famosi scandali sportivi, ripercorrendo 40 anni di vita privata e carriera della pattinatrice statunitense Tonya Harding, interpretata da Margot Robbie. Nel 1994, la Harding e suo marito Jeff Gillooly vengono accusati di aver organizzato l’aggressione a Nancy Kerrigan, rivale della Harding, per metterla fuori gioco in vista delle Olimpiadi dello stesso anno.

La storia di Tonya Harding fa emergere le contraddizioni dell’America, bisognosa di eroi da prendere come esempio ma anche di antieroi da stigmatizzare.

Lo spettatore viene subito avvisato tramite il cartello di apertura che I, Tonya si basa sulle “interviste assolutamente vere, totalmente contraddittorie e prive di qualsiasi ironia con Tonya Harding e Jeff Gillooly”, ma quella che segue è una pellicola profondamente ironica, dove vero e falso si intrecciano fino a confondersi perché ogni personaggio dà la sua versione della verità. Se la verità è così difficile da ricostruire – e probabilmente neanche il film la rispecchia totalmente – ciò che resta un dato di fatto è la caduta in disgrazia della Harding in seguito al processo mediatico-giudiziario. La pattinatrice fu amata, poi odiata e infine diventò una barzelletta, maltrattata non soltanto dalla madre o dal marito violento ma anche dal circo mediatico. D’altronde, come si recita nel film, l’America vuole qualcuno da amare e qualcuno da odiare, e in questo caso la vittima sacrificale fu certamente la Harding. Nonostante le perplessità sul ruolo giocato dalla pattinatrice nella vicenda, la sua immagine viene riabilitata da I, Tonya, anche se non credo fosse quello l’obiettivo principale del film, quanto piuttosto quello di intrattenere gli spettatori e, in parte, di fare della vita di Tonya una parabola sull’altra faccia dell’America.

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Quella riportata sullo schermo è una storia assurda, che non poteva essere raccontata diversamente dallo sceneggiatore Steven Rogers. I personaggi, soprattutto quelli maschili, sono delle macchiette; Jeff Gillooly (Sebastian Stan) e la “guardia del corpo” Shawn Eckhardt si improvvisano dei gangster ma sono uno più idiota dell’altro. Non meno stereotipata è la figura della madre di Tonya, Lavona (Allison Janney), sboccata, violenta e cinica. La vita della protagonista viene raccontata come quella di una rock star, dalle umili (e disastrose) origini, all’apice del successo (sempre con qualche riserva), per finire nel baratro. La violenza viene esasperata, spesso dando luogo a situazioni comiche.

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L’unione tra violenza e ironia mi ha ricordato i film di Martin Scorsese, il quale sembra essere il punto di riferimento del regista di I, Tonya anche per altre caratteristiche, come l’utilizzo pensatissimo della musica, ma soprattutto a livello registico.

Craig Gillespie ricorre infatti a numerosi fermi immagini, zoom veloci, scene a rallentatore e battute alla telecamera. La sua mdp è sempre in movimento, tranne nella replicazione delle interviste, che danno al film un tocco documentaristico.

Decisamente meritata la nomination all’Oscar per il miglior montaggio, estremamente funzionale in un film del genere. Plauso anche al reparto trucco e parrucco – forse ingiustamente snobbato dall’Academy – ed ai costumi, che pure non avrebbero sfigurato nella cinquina finale, in quanto diversi da tutti gli altri candidati.

Non sono invece passate inosservate le interpretazioni di Margot Robbie e Allison Janney, la prima una perfetta psicolabile che è insieme eroina e antieroina, la seconda un personaggio detestabile ma a cui è difficile resistere.

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I, Tonya è un godibile biopic con personaggi e situazioni assurdi, tutto giocato tra ironia e verità, che riecheggia il cinema di Scorsese.

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