Sono poche le narrazioni cinematografiche in grado di sintetizzare lunghi periodi storici, tanto che si possono contare sulle dita di una mano. Il tentativo più ambizioso è rappresentato da Heimat di Edgar Reitz (film tedesco del 1984, diviso in 11 episodi ambientati tra il 1919 e il 1982). Il cinema italiano può altresì contare ben due film: Novecento (Bernardo Bertolucci, 1976) e La Meglio Gioventù (Marco Tullio Giordana, 2003), entrambi divisi in due atti.
Sommati fra loro, Novecento e La Meglio Gioventù rappresentano quasi per intero la storia italiana del ventesimo secolo. Il film di Bertolucci copre un arco temporale che va dal giorno della morte di Giuseppe Verdi (27 gennaio 1901) al giorno della liberazione dal nazifascismo (25 aprile 1945). La Meglio Gioventù è ambientato invece dall’estate del 1966 ai primi anni 2000. Il film di Marco Tullio Giordana può essere interpretato quindi come una sorta di prosecuzione ideale di Novecento. Protagonisti sono la ricca casata Berlinghieri della Bassa padana insieme ai loro braccianti, e la famiglia Carati, appartenente alla media borghesia romana. Fanno da contorno tutta una serie di altri personaggi che, nel corso delle pellicole, assumono un ruolo più o meno determinante.
Entrambi i film sono degli affreschi che intrecciano snodi importanti della storia italiana con vicende private. Sono dei film corali, dei romanzi familiari potremmo dire, con la verosomiglianza come principale caratteristica.
Ma chi o cosa viene posto in primo piano, la Storia o i personaggi? Bernardo Bertolucci, all’uscita del suo film, dichiarò che esso aveva una chiave precisa: l’identificazione delle masse non tanto con i personaggi di finzioni narrative, ma con questi che si scollano dal loro ruolo letterario per diventare personaggi della Storia.
Nel 1976, Edoardo Bruno scriveva sulla rivista Filmcritica: “Bertolucci ha voluto guardare la Storia dentro un imbuto di cose familiari, di gesti raccontati, di ricordi inventati, con l’occhio di chi ha visto cinema, si è nutrito di immagini, ha imparato a guardare la realtà ‘attraverso lo schermo’. […] Solo attraverso la mediazione-cinema la famiglia, la casa, i ricordi la stessa infanzia, che si impasta con gli avvenimenti, riescono a staccarsi dalla cronaca e acquisire il sapore del mito.” I personaggi di Novecento sono sì mitizzati, ma sono essi a scrivere – più o meno consapevolmente – la Storia. Anche nel caso de La Meglio Gioventù, è stato lo stesso Marco Tullio Giordana a chiarire la doppia chiave di lettura – storica e privata – che fa da trama connettiva al suo film:
Mi è sempre interessata la storia con la s minuscola. Penso che quanto più una storia è personale tanto più è avvincente e universale, perché ha la capacità di sorprendere, di mostrare degli aspetti diversi da quelli che conosciamo. Nel film gli avvenimenti sono sullo sfondo, caratterizzano un’epoca, come accade anche nella vita di tutti i giorni. Ci ricordiamo più facilmente la data del primo appuntamento, che quella in cui Mao ha fatto una relazione al Comitato Centrale. I pochi eventi storici raccontati in primo piano hanno un legame diretto con i personaggi […]. Più che l’epopea collettiva, questo film racconta la fatica e la gioia della giovinezza, l’insoddisfazione di sé, i sentimenti assoluti che si vivono a quell’età, prima di tutto come individui.
Giordana mette in scena tanti piccoli eroi borghesi che non si tirano indietro di fronte agli eventi che hanno attraversato il Paese; tramite l’irruzione casuale della grande storia nella piccola storia, ha realizzato una sorta di epopea del quotidiano. In definitiva, per aver assunto uno sguardo particolare e posto la Storia sullo sfondo, Novecento e La Meglio Gioventù sono uno spaccato sociale e politico, oltre che storico.
Nel corso delle pellicole, passano in rassegna un gran numero di eventi storici, sempre narrati dal punto di vista dei personaggi. In Novecento assistiamo al primo sciopero agrario nel parmense del 1908, mentre le due guerre mondiali non vengono mostrate nel loro svolgersi: Bertolucci preferisce mettere in scena le trasformazioni che hanno portato a tali guerre. Infatti, il conflitto del ’15-’18 è raffigurato sostanzialmente da Olmo che torna a casa con la sua divisa. Sentiamo poi commentare dalle camicie nere la notizia della marcia su Roma, per finire al giorno della Liberazione. Dopo un buco narrativo di una ventina d’anni, La Meglio Gioventù riprende il filo della storia raccontando la cultura hippy, l’alluvione di Firenze, la contestazione studentesca, la crisi economica, gli anni di piombo, l’approvazione della legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi e della legge sul divorzio, la vittoria dell’Italia ai mondiali del 1982, l’attentato a Borsellino e la lotta dello Stato contro la mafia, Tangentopoli, la nascita della Lega Nord.
Sono molti e variegati dunque i fatti storici affrontati più o meno direttamente e approfonditamente da questi film, ma l’elemento di continuità potrebbe essere individuato nel socialismo – poi comunismo, esaltato tramite uno sguardo nostalgico da Bertolucci e visto in maniera più disincantata da Giordana.
Al centro di Novecento c’è la lotta tra il proletariato contadino e i grandi proprietari terrieri, un tema fondamentale nel periodo storico della prima metà del secolo scorso.
Il film di Bertolucci racconta da un lato la progressiva acquisizione di una coscienza di classe da parte dei braccianti e il loro riscatto sociale grazie alla nascita e diffusione del socialismo, e dall’altro l’ascesa del fascismo, che rappresenta l’ombrello sotto il quale i grandi latifondisti vanno a ripararsi per conservare se non accrescere i loro averi e privilegi. La lotta tra servi e padroni viene incarnata dapprima nei personaggi di Leo Delcò (Sterling Hayden) e Alfredo Berlinghieri (Burt Lancaster), poi dai loro rispettivi nipoti Olmo (Gerard Depardieu) e Alfredo (Robert De Niro), nati nello stesso giorno. Alfredo e Olmo, ben consapevoli del loro divario economico e sociale, hanno comunque un rapporto di amicizia che pian piano si crepa per la diversa presa – o non presa – di posizione politica.
Alla morte dei due capifamiglia Alfredo e Leo, che certo avevano avuto momenti difficili (come lo sciopero agricolo del 1908) ma rispettandosi reciprocamente, la situazione si fa sempre più delicata: l’erede, Giovanni, minaccia di dimezzare le razioni di cibo ai Delcò, e questi ricorrono a nuove proteste. Gli eventi precipitano con l’arrivo dello squadrista fascista Attila (Donald Sutherland), assunto da Giovanni per difendere i Berlinghieri e la loro proprietà dai contadini rivoltosi. Quando prende le redini dell’azienda di famiglia, perfino Alfredo si rivela un personaggio noncurante, come se fosse uscito da un romanzo di Alberto Moravia. La colpa che gli verrà mossa da Olmo e anche da sua moglie Ada (Dominique Sanda) è proprio quella di essere rimasto indifferente di fronte alle nefandezze di Attila, licenziandolo troppo tardi. Dall’altro lato, è anche vero che Alfredo non ha fatto del male a nessuno ed anzi, ha sempre preso le difese di Olmo. I due sembrano riappacificarsi alla fine del film, quando i Delcò occupano la cascina dei Berlinghieri pensando che con la fine della guerra sarebbe finito anche il predominio dei grandi latifondisti, e Alfredo dice sarcasticamente a Olmo: “ma il padrone non è morto”; i due ricominciano a giocare a picchiarsi come facevano da bambini, continuando ininterrottamente fino alla vecchiaia, quasi a significare che la lotta tra servi e padroni non ha mai avuto realmente fine.
Il rapporto d’amicizia attraversato da una crisi – seppur passeggera – tra Alfredo e Olmo in Novecento, nel film La Meglio Gioventù viene trasportato tra i fratelli Nicola (Luigi Lo Cascio) e Matteo Carati (Alessio Boni), dapprima anche loro molto uniti – indipendentemente dalla parentela – e poi divisi da incomprensioni e divergenze, anche politiche.
L’estate del 1966 è quella che decide le scelte per la vita dei due fratelli. L’incontro che segna la svolta delle loro esistenze è quello con Giorgia (Jasmine Trinca), una ragazza con disturbi psichici. Matteo e Nicola decidono di far uscire Giorgia dalla struttura che la ospita e riportarla a casa ma, durante il viaggio, in un momento in cui i tre si sono separati, lei viene fermata da alcuni carabinieri e se ne perdono le tracce (almeno per un po’ di tempo).
L’esperienza segnerà diversamente i due fratelli. Nicola diventerà uno psichiatra basagliano, aperto al mondo e alla vita, e tra i manicomi ritroverà Giorgia. Matteo, invece, si arruola nell’esercito, poi entra in polizia, in un disperato bisogno di obbedire alle regole e non prendere più decisioni. Insieme si ritrovano tra gli angeli del fango durante l’alluvione fiorentina del 1966: il primo nel volontariato internazionale, il secondo intruppato. Pasolinianamente contro saranno, invece, sulle barricate della contestazione studentesca: Nicola l’intellettuale progressista, Matteo il celerino col manganello. Lo spettatore però fa fatica a prendere la parti dell’uno o dell’altro personaggio: entrambi agiscono secondo motivazioni comprensibili, mentre è impossibile giustificare le azioni di un terzo personaggio, Giulia (Sonia Bergamasco): accanto al futuro marito Nicola durante l’occupazione delle università e le manifestazioni degli studenti, Giulia entrerà poi a far parte delle Brigate Rosse, lasciando da soli lo stesso Nicola e loro figlia.
L’argomento ‘comunismo’ viene quindi trattato diversamente dai due film: in La Meglio Gioventù, il regista riesce miracolosamente a mantenersi al di sopra delle parti, pur raccontando eventi scottanti che hanno diviso l’opinione pubblica nel corso degli anni, mentre Bernardo Bertolucci sembra decisamente meno neutrale. Novecento può apparire retorico solo se lo si considera, fermandosi allo strato più superficiale dell’opera, come una rappresentazione ideologica volutamente ed inevitabilmente di parte. In realtà infatti, se si fa attenzione, il sogno comunista viene smentito da entrambi i registi, più velatamente da Bertolucci, che lo guarda con nostalgia e lo inserisce in una dimensione fantastica, quasi magica, e in maniera più evidente da Giordana, perché degenerato nell’estremismo brigatista.
Indipendentemente dall’intento retorico del film – anche se abbiamo visto che così appare solo ad una visione superficiale – Novecento è indiscutibile sul piano registico: i long take che mostrano il lavoro quotidiano dei contadini nei campi, insieme alle scene dei giochi infantili tra Olmo e Alfredo, sono una gioia per gli occhi. Il linguaggio cinematografico è aspro e immediato, ma allo stesso tempo raffinato e poetico. La regia di Marco Tullio Giordana è meno emblematica ma altrettanto suggestiva e malinconica, generando nello spettatore un senso d’illusione, la percezione di un’amara sconfitta, anche se – come recita la battuta conclusiva del film – “tutto è veramente bello“.
Novecento e La Miglio Gioventù hanno raccontato la Storia dell’Italia del ‘900, magari semplificandola e concedendosi qualche sentimentalismo, ma sono comunque tra i migliori film storici e di impegno civile nel panorama cinematografico italiano.