Lo chiamavano Jeeg Robot: un’analisi della nostra società


2016 - 2019, Recensioni / sabato, Aprile 8th, 2017

Lo chiamavano Jeeg Robot è scorretto, fresco, inusuale. Potrebbe sembrare a tutti gli effetti un film americano, ma non vuole esserlo. Perché, se da un lato il film di Gabriele Mainetti risulta surreale, quasi splatter e distopico, dall’altro è anche velatamente realistico. Mescolando dramma e grottesco, il film affronta indirettamente i problemi della droga, della delinquenza, della camorra. Il supereroe sembra essere solo una scusa per portare alla luce i problemi sociali, economici e politici del nostro paese.

Infatti, Enzo Ceccotti aka Jeeg aka Claudio Santamaria, non è il classico eroe positivo. Essendo un delinquente da due soldi, si serve dei suoi superpoteri (ottenuti, per la cronaca, durante una fuga da gli sbirri, cadendo in un barile di scorie nucleari immerso nel Tevere) per scassinare un bancomat. Inizialmente, Enzo Ceccotti è dunque un antieroe. Soltanto l’incontro con la dolce e mentalmente disturbata Alessia (Ilenia Pastorelli) lo farà cambiare e mettere a disposizione i suoi poteri per il bene di tutti, combattendo contro il vero villain del film, lo spietato Zingaro (uno strepitoso e folle Luca Marinelli).

Tralasciando per questa volta l’analisi delle interpretazioni e della parte tecnica (anche se la regia di Gabriele Mainetti e il sonoro, veramente notevole per un film prodotto in Italia, meriterebbero più spazio), vorrei invece soffermarmi su quegli aspetti che personalmente reputo realistici. Lo chiamavano Jeeg Robot dipinge in modo veritiero il disagio delle nostre periferie.

L’ambientazione a Tor Bella Monaca è perfetta: palazzoni in mezzo a i prati, muri imbrattati, lunapark abbandonati; insomma, una periferia autentica ma anche poetica.

Manco a dirlo, il film è recitato tutto in romanesco, e i personaggi sono gente de borgata: Enzo è un ragazzone mai cresciuto, chiuso in se stesso; Alessia, vittima di violenze domestiche, si rifugia in un mondo tutto suo e lo Zingaro vuole diventare qualcuno nella malavita capitolina per uscire dalla periferia decadente.

Questi personaggi, che sono chiaramente esagerati nella loro caratterizzazione, non sono poi così inconcepibili: sono un prodotto dell’ambiente in cui sono cresciuti. Nella realtà, in Italia ci sono tante persone simili ad Enzo, Alessia e allo Zingaro, e sono soprattutto loro che hanno bisogno di un eroe. Come recita l’explicit del film:

Che cos’è un eroe? È un individuo dotato di un grande talento e straordinario coraggio, che sa scegliere il bene al posto del male, che sacrifica se stesso per salvare per gli altri, ma soprattutto… che agisce quando ha tutto da perdere e nulla da guadagnare. Enzo Ceccotti era davvero un supereroe, come ama definirlo oggi la gente? I benpensanti commiserano le terre sventurate e bisognose di eroi. Ma la verità è un’altra: la presenza di qualcuno che veglia sulle nostre vite ravviva la speranza in un futuro migliore.

Interessante ed estremamente attuale è poi anche l’immagine dissacrante che il film rappresenta della tecnologia e di internet. In Lo chiamavano Jeeg Robot, un semplice Iphone può essere utilizzato per fracassare un cranio. Le rapine, le mattanze, pure i gesti di affetto vengono ripresi con gli smartphone e postati sul web, perché chi ha più visualizzazioni detiene anche più potere. Oltre ad internet, l’altro mezzo di comunicazione costantemente presente nel film è la televisione. Enzo e Alessia hanno entrambi una dipendenza da dvd: il primo per quelli porno, la seconda per i cartoni di Jeeg Robot d’acciaio. Lo Zingaro ha un passato nel programma tv “Buona Domenica” (guai a scambiarlo con “Il grande fratello”) e per questo è ossessionato dalla fama. Potremmo quindi dire che tutti i personaggi principali abbiano delle fissazioni e che siano una sorta di alienati e repressi.

Il film sembra voler comunicare che, sebbene la rivoluzione informatica abbia permesso alla società di fare molti passi in avanti, ha però mostrato ben presto la sua faccia negativa. Ormai siamo tutti più o meno schiavi dei social network e non ci ricordiamo abbastanza il loro carattere effimero. Andy Warhol diceva, già negli anni Sessanta, che nel futuro ognuno sarebbe stato famoso per 15 minuti. Questo spiega e giustifica l’esibizionismo dello Zingaro.

jeegzingaroesibizionismo

Lo chiamavano Jeeg Robot non è però un film eccessivamente serio e impegnato. Gli aspetti che ho analizzato sono posti sullo sfondo, mentre gran parte della pellicola è caratterizzata da situazioni tragicomiche, per lo più divertenti e soltanto a tratti amare. Dico solo che a volte, dietro all’apparenza, si nascondono temi molto più profondi di quanto si pensi. E quale genere migliore si presta a questo se non il genere dei supereroi, dove la maschera è l’emblema del ciò che sembra ma non è? Tuttavia, mentre pare che gli americani abbiano dimenticato tale idea di fondo, gli italiani l’hanno ricordata a tutti. Per questo motivo, Lo chiamavano Jeeg Robot va soltanto ringraziato.

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