Venezia 74: Hannah – La recensione


2016 - 2019, Festival, Recensioni, Venezia 74 / venerdì, Settembre 8th, 2017

Hannah è un film dall’impronta molto autoriale, ma fin troppo ridondante e ripetitivo da condurre alla noia. Il regista Andrea Pallaoro si riduce a descrivere la routine della vita di Hannah e i momenti della sua quotidianità: la cinepresa filma Hannah che sistema i fiori nei vasi, pulisce la casa, fa le prove con il gruppo di teatro, e non accade nient’altro. La sceneggiatura è fin troppo scarna, ed è difficile entrare in empatia con la protagonista, dato che non ci viene neanche fornita una spiegazione sul perché suo marito sia in carcere e perché abbia un rapporto conflittuale con il figlio.

L’estraniata Hannah mi ha ricordato il personaggio di Monica Vitti nel film di Michelangelo Antonioni, Deserto Rosso. Non a caso, ci sono nel film di Pallaoro delle citazioni più o meno palesi, ad esempio la camminata di Hannah tra i casermoni che sembra quella di Giuliana tra le fabbriche.

Pallaoro lascia spesso le voci fuori campo e taglia i volti degli attori, utilizzando anche molti long take. Tranne questi elementi, non c’è una ricerca registica particolare che possa rendere i dettagli interessanti. Tutto è piatto e silenzioso, i dialoghi sono minimi e inutili per comprendere la storia, le scene durano minuti quando avrebbero potuto durare secondi e non c’è alcun tipo di impatto visivo. La sensazione è che Pallaoro abbia voluto fare troppo per le sue capacità, sperando di creare un film sperimentale e autoriale, ma finendo soltanto con il creare un’opera senza senso e ridicola.

Abbiamo inoltre una Charlotte Rampling che minimizza le espressioni e non può di certo reggere un film così ripetitivo e insensato da sola.

Se alcuni lo considerano profondo per la tematica della solitudine e dell’alienazione, a noi è parso un film imbarazzante che, riprendendo una metro che passa, una camminata sulle scale e Hannah che odora i fiori per un’ora e mezzo di film, non comunica assolutamente nient’altro che noia.