Venezia 74: Lean on Pete – La recensione


2016 - 2019, Festival, Recensioni, Venezia 74 / sabato, Settembre 2nd, 2017

Lean on Pete è stato presentato da poche ore a Venezia ed ha deluso decisamente le aspettative.

Per quanto la storia possa essere abbastanza coinvolgente, il tipo di narrazione risulta piuttosto fiacca e priva di personalità. Lean on Pete è il nome del cavallo di un ragazzo chiamato Thompson e il film vorrebbe focalizzarsi sul rapporto fra i due, tentando invano di raccontare la dolcezza della relazione e della quotidianità. Ma in realtà la trama non è nient’altro che la strana storia di un ragazzo che vive una serie di vicissitudini, narrate nel modo più soporifero possibile.

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I dialoghi sono piatti, non c’è alcun tipo di enfasi e talvolta risultano inutili o ridicoli. Non c’è nemmeno una colonna sonora a dare sostegno o a creare tensione, e neanche una buona fotografia. Escluse alcune rare inquadrature ben fatte, i paesaggi selvaggi dell’America sono spenti e hanno colori piatti.

Quando la trama sembra giungere al termine in realtà il film procede ancora una mezz’ora senza meta e senza riuscire a spiegare dove vuole andare a parare. Vuole forse raccontarci i drammi interiori di un ragazzo che ha perso tutto, ma che inspiegabilmente compie certe azioni e addirittura sfocia nella violenza. Inoltre, già nella prima parte del film non riusciamo a comprendere i suoi sentimenti, e il suo amore per il cavallo sembra nascere dal nulla. Forse nel finale possiamo trovare un senso alla pellicola, anche se ormai sembra irrecuperabile.

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Charlie Plummer, che interpreta Thompson, non convince molto e confonde maggiormente la pellicola che avrebbe avuto bisogno di una buona recitazione. La sua faccia è inespressiva e nei momenti di pianto sembra piuttosto avere un attacco d’asma. Plummer alterna un buon realismo provato a toni talvolta ridicoli. L’unica nota positiva è la recitazione di Steve Buscemi, che interpreta un personaggio che purtroppo non gli dà giustizia.

Forse Lean on Pete è un film che funziona meglio in un contesto più americano, come racconto di formazione di uno statunitense in cerca di se stesso, che tuttavia non riesce ad affrontare l’argomento né seriamente né come intrattenimento.