Venezia 74: Suburbicon – La recensione


2016 - 2019, Festival, Recensioni, Venezia 74 / domenica, Settembre 3rd, 2017

Suburbicon, il nuovo film di George Clooney con Matt Damon e Julianne Moore, ha convinto e divertito il pubblico durante la sua prima proiezione al Lido di Venezia.

Siamo nell’estate del 1959, nella tranquilla e caucasica cittadina chiamata Suburbicon: la famiglia Lodge, composta da Rose, sulla sedia a rotelle in seguito ad un incidente stradale (Julianne Moore), sua sorella Margaret (sempre Julianne Moore), il marito di Rose Gardner (Matt Damon) e il loro figlioletto Nicky (Noah Jupe). Il film si apre con l’arrivo dei nuovi vicini dei Lodge, una famiglia di colore con un figlio della stessa età di Nick. È inevitabile che i due ragazzini diventino amici, ma contemporaneamente i Lodge vengono aggrediti nella loro casa da due uomini. Questo evento darà luogo ad una serie di sviluppi imprevedibili.

Lo stile del racconto mette assieme noir, thriller, commedia e anche il genere politico, lasciando parlare da soli i fatti. L’ambientazione anni ’50 mette in evidenza le analogie con la società moderna in cui sono ancora presenti forme di razzismo, e giudica silenziosamente la nuova America ipocrita. Ma non solo: questa ambientazione delinea lo stile della pellicola in modo efficiente, portando in scena scenografie e costumi affascinanti che si modellano sui personaggi.
L’influenza sia dei Coen che di Clooney è parecchio evidente sia in fase di sceneggiatura che di regia. I dialoghi sono piuttosto brillanti, fanno emergere continuamente un’aria grottesca e cinica ed una comicità graffiante. I personaggi sono ben delineati, anche se l’intreccio a volte risulta un po’ forzato.

Clooney dirige il film in modo piuttosto tradizionale, anche se alcuni risvolti riescono ad avere una nota di originalità. Il film segue due linee narrative, che si alternano: la prima si concentra su tutto ciò che accade alla famiglia Lodge, la seconda segue invece le rivolte dei cittadini per l’arrivo della famiglia di colore.

Non ho trovato azzeccata la decisione di inserire la questione razziale: sebbene sia una scelta conforme alla poetica di Clooney e comunque interessante, avrebbe dovuto essere intrecciata in modo migliore all’altra linea narrativa, invece alla fine si ha la sensazione che sia servita soltanto per giustificare le follie che accadono nella cittadina di Suburbicon, o forse ancora di più per dimostrare che non sempre coloro che vengono considerati malvagi sono in realtà i veri malvagi.

Funziona tutto il resto della sceneggiatura dei Coen, scritta già nel 1985. Troviamo le scene grottesche e assurde, i colpi di scena e i personaggi eccentrici tanto cari ai due fratelli sceneggiatori. Nella scrittura dei personaggi è evidente la mano dei fratelli Coen. Convince Gardner Logde interpretato da Matt Damon, che inizialmente sembra indecifrabile, ma poi mette in risalto il suo cinismo silenzioso e si destreggia in situazioni paradossali. Bravissima Julianne Moore nel ruolo sia di Rose che di Margaret, sempre in forma e capace di stupire con la sua crudeltà.

Le musiche di Alexander Desplat ben accompagnano i momenti di tensione, mentre sono quasi assenti nelle scene comiche.

Insomma, un film piuttosto brillante, divertente e di intrattenimento, a tratti un po’ forzato soprattutto nella parte politica che poteva essere omissibile, così come avrebbero voluto i Coen.