Come lo scorso anno, la Biennale Cinema ha reso disponibili alcuni film di Venezia 78 delle sezioni Fuori Concorso, Orizzonti, Giornate degli Autori e Proiezioni speciali sulla piattaforma streaming di MyMovies, previo l’acquisto di un accredito. In più, è ancora possibile sottoscrivere un abbonamento (mensile, trimestrale o annuale) per continuare a vedere alcuni film presentati in edizioni passate della Mostra e non ancora distribuiti in Italia. Qui potete leggere tutte le informazioni, mentre di seguito trovate le recensioni dei film che abbiamo scelto di vedere, tutti appartenenti a quest’ultima edizione.
La Biennale di Venezia: il cinema al tempo del Covid (Andrea Segre, Italia)
La Biennale di Venezia: il cinema al tempo del Covid è un diario filmato sul “dietro le quinte” dell’edizione 2020 della Mostra del Cinema, svoltasi con le limitazioni imposte dai protocolli di sicurezza dovuti alla pandemia da Covid-19.
Andrea Segre alterna le immagini girate durante la scorsa, anomala, edizione con le immagini di repertorio dei festival del passato, lavorando per contrasti. Vediamo e ascoltiamo generazioni e tempi differenti; giornalisti, fotografi, spettatori, addetti ai lavori di ieri e di oggi; uomini e donne incontrati nel cuore della Mostra che riflettono su quanto stanno e stiamo vivendo attualmente. Per chi l’anno scorso è stato lontano dalla Mostra – e lo è stato anche questa edizione – le immagini delle sale del Lido si caricano di nostalgia, ed è inevitabile la lacrima.
I nostri fantasmi (Alessandro Capitani, Italia)
Valerio e suo figlio Carlo vivono nel sottotetto della casa da cui sono stati sfrattati. Ogni volta che arrivano nuovi inquilini, li spingono alla fuga inscenando la presenza di fantasmi. Per un po’ funziona, finché in casa non arriva Myriam in fuga con la piccola Emma da un marito violento.
I nostri fantasmi di Alessandro Capitani è una favola nera a lieto fine con falsi fantasmi e orchi reali, su questioni sociali importanti che vengono suggerite senza essere calcate. Peccato però che il tema della violenza sulle donne e della denuncia rimanga troppo abbozzato.
Il cieco che non voleva vedere Titanic (Nikki Teemu, Finlandia)
Jaakko è costretto su una sedia a rotelle ed è ipovedente a causa della SLA. Ama Sirpa, una donna che non ha mai incontrato di persona, ma con cui si sente ogni giorno al telefono, poiché vivono distanti. Quando Sirpa resta sconvolta da una notizia scioccante, Jaakko decide di andare da lei immediatamente, nonostante le proprie condizioni. In ogni caso, gli basta fare affidamento sull’aiuto di cinque estranei, in cinque luoghi: da casa al taxi, dal taxi alla stazione, dalla stazione al treno, dal treno al taxi e, infine, dal taxi a Sirpa.
Il film ha uno svolgimento semplice (racconta un’avventura da un punto A a un punto B nell’arco di un giorno), ma la tensione di alcune scene mantiene sempre viva l’attenzione dello spettatore. La macchina da presa sta addosso al protagonista, mostrandolo quasi sempre in primo piano. Lo spettatore “vede” e “sente” come lui: per esempio, il regista lascia fuori campo le sorgenti sonore o ricorre al fuori fuoco. Ma non c’è pornografia del dolore; anzi, il film è anche dotato di un grande senso dell’umorismo, grazie al protagonista cinefilo – associa ogni persona che incontra a un personaggio di un film – e con la battuta sempre pronta.
Ariaferma (Leonardo Di Costanzo, Italia/Svizzera)
Un vecchio carcere ottocentesco, situato in una zona impervia e imprecisata del territorio italiano (forse la Sardegna), è in dismissione. Per problemi burocratici i trasferimenti si bloccano e una dozzina di detenuti rimane, con pochi agenti, in attesa di nuove destinazioni. In un’atmosfera sospesa, le regole di separazione si allentano e tra gli uomini rimasti si intravedono nuove forme di relazioni.
Ariaferma è un film tutto in sottrazione, in cui la sceneggiatura non giudica i suoi personaggi. Apprezzabile è infatti la scelta di omettere, tranne due eccezioni, i motivi per cui i personaggi si trovano in carcere. La messinscena è essenziale, la recitazione naturale. Il finale aperto rende il tutto ancora più potente.
La macchina delle immagini di Alfredo C. (Roland Sejko, Italia)
Aprile 1939. L’Italia fascista occupa l’Albania. Migliaia di operai, coloni e tecnici italiani vengono trasferiti nel paese. Novembre 1944, l’Albania è liberata. Il nuovo regime comunista chiude i confini e pone all’Italia decine di condizioni per il rimpatrio dei suoi concittadini. Nel 1945 in Albania si trovano trattenuti 27.000 italiani tra reduci e civili. Tra di loro c’è anche un operatore cinematografico. Alfredo C., operatore della propaganda fascista, ha girato per cinque anni l’Albania con la sua cinepresa. Prima, per quasi un ventennio, ha immortalato la grande macchina del regime. Ora, per uno scherzo del destino, trattandosi dell’unico operatore nei paraggi, ad Alfredo è richiesto di lavorare per la propaganda comunista. Chiuso nel suo magazzino, circondato da migliaia di pellicole, Alfredo rivede su una vecchia moviola quello che ha girato.
La parte di finzione è solo un pretesto per mostrare le interessantissime immagini di repertorio realizzate da Alfredo Cecchetti. Per la narrazione, il regista e sceneggiatore decide di utilizzare la prima persona, come se le battute pronunciate dall’attore Pietro De Silva provenissero dai diari dell’operatore cinematografico; questa scelta si rivela azzeccata e molto evocativa.