Detroit – La recensione


2016 - 2019, Recensioni / sabato, Dicembre 23rd, 2017

Presentato alla Festa del Cinema di Roma, il nuovo film di Kathryn Bigelow vuole essere attuale e realistico, ma si rivela datato e fin troppo dimostrativo.

Il film racconta la sanguinosa sommossa avvenuta a Detroit nel 1967, scatenata dall’intervento della polizia in un bar privo di licenza. In particolare, Detroit segue la notte dei soprusi al motel Algiers, in cui la polizia torturò e uccise alcuni ospiti di colore, e il processo avuto luogo in seguito.

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Nella sua fattura, Detroit è ben realizzato. Il montaggio frenetico accompagna perfettamente l’escalation di violenza, intimidazione e umiliazione, mentre l’uso praticamente costante della camera a spalla fa di Detroit un film sobrio e dallo stile documentaristico. Paradossalmente, è forse proprio a causa di queste caratteristiche tecniche che il film non è molto riuscito. La regia si concentra infatti sull’azione a scapito dell’introspezione, cosicché rappresenta gli eventi con troppo distacco.

Il mostrare senza sosta scene di violenza gratuita – fisica e psicologica – dovrebbe scuotere lo spettatore, o perlomeno coinvolgerlo emotivamente, ma in realtà produce l’effetto contrario. Guardando Detroit, si ha la sensazione che la violenza venga raffigurata con un certo compiacimento e in maniera esasperata. Inoltre, soffermarsi eccessivamente sugli abusi dei poliziotti svia l’attenzione dalla questione razziale, che avrebbe dovuto essere il nocciolo del film ma che così resta sullo sfondo e viene trattata superficialmente; insomma, vedere tutti quei soprusi non porta a nessuna riflessione, oppure, peggio ancora, offre ai sadici uno spettacolo perverso in cui crogiolarsi.

Una partecipazione più sentita al dolore da parte della regista sarebbe stata più efficace.

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Detroit è sì visivamente potente, ma manca di spiegare, e forse anche di comprendere fino in fondo, la peculiarità della violenza che racconta, l’origine delle dinamiche innescate fra gli aguzzini e le loro vittime. Gli eventi violenti si susseguono senza un filo logico, come se fossero slegati: sia i bianchi (cattivi) che i neri (buoni) si fanno prendere dalla bramosia di sparare, rubare, spaccare tutto in maniera forzata, a tratti insensata. I personaggi sono abbozzati, mancano di complessità psicologica; anche quelli potenzialmente più interessanti non vengono approfonditi, ad esempio Dismukes (John Boyega), guardia giurata di colore che si ritrova dalla parte sbagliata soltanto perché porta un’uniforme e una pistola.

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Insomma, Detroit è una rappresentazione troppo semplicistica degli eventi del 1967 che, malgrado la continua sollecitazione della telecamera e del montaggio, non coinvolge come dovrebbe ma anzi, lascia indifferenti o annoiati. Un vero peccato.

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