The Post – La recensione


2016 - 2019, Recensioni / lunedì, Febbraio 5th, 2018

The Post di Steven Spielberg è l’ennesimo esempio di cinema politico o civile, che guarda al passato per rappresentare il presente. In particolare, i noccioli del film sono due: la libertà di stampa minacciata dal potere politico, e la parità di genere.

Il film narra la vicenda della pubblicazione dei Pentagon Papers, settemila pagine sul coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, piene di segreti tenuti volontariamente nascosti all’opinione pubblica e contrari alle dichiarazioni ufficiali di ben quattro presidenti (Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson). Nel 1971, il New York Times fu il primo giornale a divulgare parte dei documenti, poi impedito a proseguire da un’ingiunzione del Dipartimento di Giustizia ordinata dal Presidente in carica Richard Nixon. Il testimone venne raccolto allora dal Washington Post, all’epoca dei fatti un giornale locale, che continuò la pubblicazione dei Pentagon Papers per volontà della sua editrice Katharine Graham (Meryl Streep) e del suo direttore Ben Bradlee (Tom Hanks).

thepostredazione

The Post è un film dichiaratamente schierato dalla parte del giornalismo e si allinea alle altre pellicole del genere, come ad esempio l’indimenticabile Tutti gli uomini del Presidente, di cui questo film sembra quasi costituire un prequel (la vicenda dei Pentagon Papers fu l’anticamera dello scandalo Watergate, fatto scoppiare proprio dal Washington Post).

Il film inizia con un conflitto a fuoco nella giungla vietnamita per poi spostarsi nel territorio statunitense dove, se non c’erano fucili da puntare contro i vietcong, c’erano delle macchine da scrivere altrettanto potenti da usare contro il Presidente Nixon e i suoi predecessori che, come lui, pur di non ammettere la sconfitta, fecero partire migliaia di giovani soldati per combattere una guerra già persa.

In casi come questi, la libertà di stampa non è soltanto un diritto ma anche un dovere, e va oltre le convenienze e le amicizie. Sia Ben Bradlee che Katharine Graham erano davvero amici di Kennedy, Johnson e McNamara, ma i Pentagon Papers li costrinsero a rivedere le loro priorità e ad ammettere – con non poco rammarico – che ormai stampa e politica non potevano più andare a braccetto.

La sceneggiatura offre molti spunti di riflessione, e mette in luce con chiarezza il rapporto stampa-politica e l’emancipazione femminile in ambito professionale. Infatti, il padre della signora Graham lasciò il Washington Post al genero e non a sua figlia in quanto all’epoca era impensabile che una donna potesse avere le qualità per essere a capo di un giornale. In seguito al suicidio del marito, la Graham si ritrovò ad essere la prima editrice donna della storia, in un mondo dominato dagli uomini.

The Post vuole essere dunque una parabola sulla contemporaneità, dove il rapporto tra i mass media e l’attuale Presidente Trump è molto teso e, al contempo, le donne stanno facendo sentire sempre di più la propria voce, in qualsiasi ambito e in barba al sesso maschile.

Da aspirante giornalista quale sono, avrei dovuto attendere questo film con trepidazione, e invece ne ero decisamente preoccupata. In particolare, temevo che proprio l’analogia con il presente potesse rivelarsi un’arma a doppio taglio e, dopo la visione, posso dire con certezza che le mie preoccupazioni non erano del tutto infondate. Se da un lato è evidente che oggi più che mai ci sia la necessità di ribadire e difendere alcuni fondamenti della democrazia a stelle e strisce, dall’altro il suo voler essere attuale rischia di far sembrare The Post un film poco spontaneo, se non addirittura artificioso. È vero che avrebbe avuto meno risonanza se fosse uscito in un momento storico diverso, però forse lo avrei apprezzato di più; ciò non toglie che mi abbia comunque appassionata e coinvolta.

Infatti, Spielberg si conferma ancora una volta un grande narratore. Il film rischia di annoiare nella parte iniziale, ma nella seconda diventa più energico, trasformandosi quasi in un film d’azione. Il ritmo si fa sempre più concitato man mano che il tempo stringe e occorre prendere una decisione. La telecamera segue gli impetuosi personaggi, spalancando le porte e facendo “irruzione” insieme a loro negli interni della redazione e delle case lussuose.

Trovo la candidatura di Meryl Streep agli Oscar leggermente forzata. Sappiamo tutti che la Streep è una delle migliori attrici in circolazione, ma ciò non vuol dire assegnarle abitualmente una nomination, specialmente quando – come in questo caso – svolge la parte col pilota automatico. L’impressione è che sia stato premiato il personaggio della Graham in sé, decisamente interessante perché descritto dagli sceneggiatori come una donna vulnerabile, che teneva conto dei consigli dei suoi collaboratori uomini ma che allo stesso tempo sapeva qual era la scelta giusta da fare. Tra le due interpretazioni principali ho preferito quella di Tom Hanks, che al contrario della Streep non aveva monologhi e tuttavia è risultato maggiormente caratterizzante. Fanno parte del cast anche molti e validi caratteristi che, nelle loro brevi apparizioni in scena, contribuiscono alla riuscita del film (su tutti un intenso Bob Odenkirk).

thepostprotagonisti

The Post è un film di stampo tradizionale, che non aggiunge niente al genere d’inchiesta, ma resta comunque ben fatto e si fa apprezzare proprio per la sua classicità. Difficile però stabilire con certezza se il guardare all’oggi sia il suo punto più debole o quello più forte.

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5 Commenti a “The Post – La recensione”

  1. Concordo sulla questione Streep, ormai la sua candidatura sembra quasi automatica. È una fuoriclasse quindi la dobbiamo candidare. Non funziona così e questo errore l’Academy lo aveva già fatto in passato (Into the Woods e Florence ad esempio). Per il resto ottima recensione! 🙂

    1. Denzel Washington è un altro attore che riceve lo stesso trattamento, a mio parere. Stiamo parlando sì di due eccellenze, ma a forza di candidature gratuite la stima nei loro confronti si va sempre più affievolendo, ed è un peccato…detto questo, grazie del complimento! 🙂

  2. Ti farò sapere, The Darkest Hour ancora non l’ho visto. Lo daranno a Oldman anche per il fatto che Timothée ha 22 anni e con tutta probabilità altre occasioni per vincere (basta che non diventi un DiCaprio 2, prima candidatura a vent’anni e poi anni a sospirare in attesa, povero Leo!).

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