Radioactive – La recensione


2020 - ?, Recensioni / venerdì, Luglio 24th, 2020

Sarebbe dovuto uscire al cinema, come tanti altri film. Invece, anche Radioactive è arrivato in Italia direttamente on demand. Il film di Marjane Satrapi è una rilettura, sviluppata su più piani temporali, della vita di Marie Curie.

Come molto cinema contemporaneo, Radioactive si sviluppa su più linee temporali. Infatti, il film inizia nel 1934 con Marie Curie (Rosamund Pike) che viene portata urgentemente in un ospedale di Parigi. Il film prosegue ripercorrendo gli anni tra il 1893 e la Prima Guerra Mondiale, in cui si racconta la storia d’amore della scienziata polacca, al secolo Maria Skłodowska, con il marito Pierre Curie (Sam Riley) e la scoperta del polonio e del radio che la porterà a ottenere due Premi Nobel.

radioactive

Fin qui, Radioactive è un film biografico piuttosto convenzionale, con caratteristiche riprese anche dalla commedia romantica quando racconta l’inizio della storia d’amore tra i due scienziati. Ma poi, all’interno del flashback, vediamo un altro flashback con Marie bambina al capezzale della madre, e, soprattutto, degli interessanti flashforward che riguardano le applicazioni future della scoperta dei Curie – in ordine: un bambino malato di cancro curato con la radioterapia (1957), il lancio della bomba atomica a Hiroshima (1945), i test nucleari nel Nevada (1961) e il disastro di Chernobyl (1986).

Questi salti nel tempo sono mostrati nel corso del film come a suggerire che passato, presente e futuro sono legati tra loro da un rapporto di causa-effetto. Inoltre, nel finale, in cui torniamo al punto dove il flashback era cominciato, vediamo la stessa Marie Curie avere una sorta di premonizione che le mostra, a sua volta, l’impatto della radioattività attraverso la Storia.

“Hai lanciato un sasso nell’acqua, non puoi controllarne gli effetti” – Pierre Curie (Radioactive)

In questo modo, la scienziata si confronta non soltanto con le conseguenze immediate della sua “creatura” – nel film si parla di leucemia e anemia diagnosticate nei ricercatori e dell’impiego delle radiografie al fronte per risparmiare ai soldati feriti delle amputazioni affrettate -, ma anche con quelle successive alla sua morte. Una scelta che rientra nella sensibilità del nostro tempo di abbattere le barriere temporali per creare un unico presente e che colloca il film all’interno del cinema postmoderno.

La rilettura della storia

Intervenendo sul tempo, gli sceneggiatori agiscono, in qualche modo, anche sulla Storia. Il tipo di revisionismo storico di Radioactive è, però, più dalle parti di Piccole donne di Greta Gerwig che di C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino. Infatti, non c’è una vera e propria manipolazione del dato storico e biografico, quanto piuttosto una rilettura del personaggio e della sua vita attraverso le lenti interpretative del presente.

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In questa direzione va la caratterizzazione del personaggio quasi come fosse una femminista di oggi che combatte contro i pregiudizi sessisti e razzisti. Oppure, la scelta di far emergere il rapporto della protagonista con l’amore e la morte. Infatti, oltre alla serenità con Pierre e le loro due figlie, la vita di Marie Curie, così come ci viene raccontata, è segnata da una serie di paure e lutti, che la protagonista tenta di affrontare anche con l’aiuto di una spiritista.

L’uso del colore in Radioactive

La Morte potrebbe essere rappresentata nel film dalla fialetta di radio che emana un attraente e allo stesso tempo minaccioso verde fluorescente, il colore che più simboleggia il veleno (ho pensato subito alla sequenza del fuso nel film Disney La bella addormentata nel bosco).

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È proprio nell’uso del colore che si vede la matrice fumettistica di Radioactive. La sceneggiatura, infatti, è tratta dalla graphic novel di Lauren Redniss intitolata Radioactive. Marie e Pierre Curie, una storia d’amore e contaminazione. Questa influenza si vede bene nella sequenza della danza di Loïe Fuller e in un incubo notturno della protagonista. La fotografia del film fa poi riferimento al modo consueto di rappresentare la Parigi della belle époque, per esempio attraverso le fonti luminose, che irradiano aloni di luce dai contorni sfumati.